Gian Luigi Martelli

Gian Luigi Martelli nasce in Ascoli Piceno nel 1949 dal falegname Bernardo e dalla sarta Antonia, studia grafica pubblicitaria nel locale Istituto d’Arte. Nella meditata avanguardia della provincia si cimenta nell’elaborazione di ambienti di Afragola strutture interventi sulla natura sin dal 1964. Quindicenne inizia partecipare a mostre regionali e nazionali ottenendo vari riconoscimenti. Dal 1970 vive e lavora Piacenza, dal 1985 come responsabile di una società di comunicazione audiovisiva e multimediale specializzata nel settore didattico /scientifico, ha progettato e diretto più di 150 produzioni in video, cd rom e DVD per enti ed aziende anche multinazionali. Ora vive e lavora sulle colline piacentine.

La certezza dell’avvenuto incontro tra arte e tecnologia è assoluta davanti alle opere di Gian Luigi Martelli. Non è più un attrazione, un rapporto, ma è una esistenza comune in una nuova, a noi contemporanea, dimensione della vicenda umana. La formazione pubblicitaria e la maestria nel campo della comunicazione multimediale sono il pretesto, la forza motrice per l’azione artistica di Martelli. Il suo operato, basato sulla dialettica tecnologia/natura, si esprime in forme naturali, in rami e tronchi direttamente prelevati dalla natura. Su di essi crescono però frutti snaturati, fatti di schede di computer, chiodi, trucioli d’acciaio che, a prima vista, sembrano lontani e non coerenti. Ma essi non sono più estranei, stranianti, non più, da quando si è risolto il dramma tra l’uomo e la macchina e si è trasformato in un’interazione costante. La tecnologia non è più estetica fredda, morta. La macchina non è più una potenziale dominatrice, ma una protesi naturalizzata del corpo e della mente umana. Così, tramite l’utilitas la tecnologia guadagna la sua venustas. Ebbene, tutto questo per raccontare il perchè delle opere di Martelli, dove la firmitas per rimanere con Vitruvio, é la stabilità della natura, vista negli alberi ed é la saldezza della tecnologia, vista negli “elementi meccanici”. Dalla unione oramai quotidiana, tra il funzionalismo industriale e l’organicismo biologico nasce un’espressione artistica che porta in sé forti connotati storici dell’arte italiana. Si vuole seguire, in tal merito, la strada disegnata dai poveristi, da Merz a Zorio, per insistere sull’informale tecnologico di definizione Barilliana. E bene, la versante intrapresa ci obbliga a parlare di informale inteso come primordiale biologico raccontato con i tecnologici versi contemporanei. Allora sono evidenti le forme “aperte” di un’arte spaziale, primaria, anteriore ad ogni distinzione chiusa, e quindi puramente interessata al mondo della vita. Un mondo questo non più imitato, interpretato solo con elementi primari, ma apertura riconoscersi in ogni forma, anche secondaria e facente parte della vasta area di prodotti artificiali del mondo tecnologico. Il processo naturale, primordiale, non è più “contro” ma é “dentro” il mondo della tecnica, di tutto ciò che costituisce il nostro essere quotidiano. Due mondi che non si contrastano, non si oppongono uno all’altro, ma acquisiscono la stessa funzionalità con lo stesso palpito vitale, che sia prodotto da un cuore una una macchina. È proprio questa la dinamica che emanano i lavori di Martelli, che non sono più pitture, né sculture, né installazioni, ma piuttosto, a mio avviso, situazioni in una vita che, non è altro che la nostra.

Denitza Nedkova, Bologna 2011