Cristiana De Marchi

Cristiana De Marchi (Torino, 1968; vive a Beirut e Dubai)

Ha studiato dal 1994 al 1999 presso l’Università degli Studi di Torino laureandosi (summa cum laude) in Scienze Umanistiche e poi in Archeologia Classica. Nel 2005 ha conseguito un Master in Mediazione Culturale e Didattica Museale. Nel 2012 ha completato un corso in Pratiche Curatoriali organizzato dal California College of Art USA in partnership con l’Emirates Foundation di Abu Dhabi.
Esposizioni: Wunderkammern Effimere Circuiti Dinamici, Milano, (2017), Contrappunti/Counterpoints, Villa Amoretti, Torino (2014); My Country, New York University, New York, USA (2014); Weaving Gaps, 1×1 Art Gallery, Dubai, UAE (2013); “Melting the Sky”, una doppia esposizione con l’artista kuwaitiana Monira Al Qadiri, Dubai, (2016); Prima Biennale di Yinchuan, MoCa Yinchuan, Cina (2016); Santa Cruz Biennale, “Limitrofe”, Centro Culturale di Santa Cruz, Bolivia (2016); Biennale della Pace, Teheran, Iran (2016); Groupe Mobile: Villa Vassilieff, Paris, France (2016); White Cube… Literally, IVDE gallery, Dubai, UAE (2016).
Residenze: Villaggio degli Artisti in Yinchuan, Cina (2016); Rijksakademie, Amsterdam, Paesi Bassi; Santa Fe Art Institute, USA (2014); University of Arts, Philadelphia, USA (2012) e presso il Vermont Art Center Manchester, USA (2017).

Cristiana de Marchi è stata vincitrice nel 2016 della 5° Edizione del Premio ORA ed è stata insignita della Shaikha Salama Foundation Fellowship (United Arab Emirates, 2017).

Cristiana ha interessi che spaziano tra letteratura, religioni ed impegno sociale e che vengono riproposti in molte delle sue opere, siano esse oggetti ricamati, video, performance o installazioni.

In particolare tramite l’uso del tessuto, come mezzo espressivo privilegiato, l’artista si concentra sul ruolo di concetti quali ‘Religione’ e ‘Nazione’ intesi come veicoli per riflessioni personali sui temi identitari. Queste due concezioni puramente convenzionali, racchiudono al loro interno le tematiche fondamentali (i nodi) indagate dall’uomo e dall’artista.
Le riflessioni alle quali ci conducono le sue opere sono più che mai attuali e forniscono chiavi di lettura interessanti: così un palloncino, forzato sino al suo limite, diventa metafora dell’azione dell’uomo nella creazione e successiva distruzione di ideali universali, o un’Europa in bianco, senza distinzioni cromatiche, focalizza l’attenzione sulla questione dei confini geografici, frutto dell’arbitrarietà umana più che della realtà. O ancora, ci costringe a constatare lo stato di “cecità culturale”, di superficialità, che ci affligge nel momento in cui ci confrontiamo con tematiche fondamentali difficili da accettare o che semplicemente non comprendiamo.

Nelle sue opere fondamentale è la PAROLA; non solo nella sua semplice valenza semantica ma come parte integrante dell’opera, elemento fisicamente presente e tangibile grazie all’uso del tessuto. Presenza materiale e nominale che diventa veicolo di messaggi, profezie ed epifanie per lo spettatore. L’invito è quello di non limitarsi ad osservare le opere, ma di interagire con le superfici per ricercarne i significati nascosti e quelli perfettamente visibili. Ci si renderà allora conto, con un gioco di intrecci, ricami, nessi simbolici e linguistici, che la bandiera nazionale contiene, alla vista dei più attenti, il reale riferimento alla Patria.

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Il lavoro di Cristiana de Marchi esplora temi sociali e politici: memoria, identità, confini contestati e nazionalismi contemporanei. Tramite l’uso di tessuti, ricamo, video e performance, de Marchi istiga processi che attirano l’attenzione sugli strumenti del potere, esplorandone le strutture.
Questi sistemi vengono interrogati estraendone segni e simboli che li costituiscono. L’artista mette a nudo il potere latente nelle bandiere e nei loro colori, nei passaporti, in luoghi, statistiche, modelli sociologici, parole e lettere chiave. Concentrando l’attenzione su dettagli spesso trascurati, de Marchi esplora come l’apparentemente innocua quotidianità sia di fatto l’essenza di schemi strutturali più ampi.
Impadronendosi di un segno, l’artista lo distilla, riducendolo ai suoi elementi costituenti attraverso processi ciclici e ripetitivi quali la puntuazione del cucito e la rimozione dei punti a ricamo, o attraverso la ripresa di processi trasformativi della materia (ghiaccio-acqua, liquefazione di saponi, ma anche il gonfiarsi parossistico di un palloncino fino all’inevitabile esplosione). Ogni lavoro fa uso del potenziale implicito nei processi di trasformazione progressiva, scatenati prima e poi osservati. Le parole sono fisicamente amplificate o isolate per evidenziarle nella loro individualità, suggerendo il potere inerente il loro significato. Le bandiere sono svuotate di colore, incoraggiando considerazioni rinnovate sul loro carattere distintivo. Le mappe sono arbitrariamente espanse, esplose creando spazi fra luoghi la cui riproduzione non esclude l’errore perpetrato dalla fallacità dei processi mnemonici. Mappe monocrome, bianche e nere, neutralizzano i confini e la soglia apparentemente impenetrabile che separa spazi pubblici e privati, dimostrando che ciò che sembra immutabile di fatto è sempre stato fluido.
Esaminando etimologie, mappe, spazi e simboli nazionali, de Marchi ne pone in risalto la funzione di segno. Rivelandone le componenti fisiche e simboliche, l’artista ne sottolinea la posizione entro strutture più ampie, implicando ed alludendo a meccanismi di portata concettuale. Le esplorazioni si concentrano meno sulla complessità di ciò che ognuno di essi significa a livello socio-politico o biografico, incoraggiando piuttosto delle considerazioni su come ognuno di essi sia pervenuto ad acquisire significato. Attardandosi su questi simboli, il significato è svelato: ciò che normalmente viene dato per scontato viene disfatto, rivelando i processi che creano significato.
Se ogni lavoro suggerisce la complessità spesso trascurata di come i segni mantengano e comunichino significato, altri processi – sia produttivi che attivi – vengono ugualmente avviati. Espandendo l’osservazione dei meccanismi di ‘produzione di significato’, continue ruminazioni cicliche vengono incitate. Un’esplorazione di simboli e del loro significato potrebbe suggerire la nettezza della metafora, visto che un’idea ne rappresenta un’altra – una mappa / bandiera per lo stato e il suo popolo; un colore per un credo politico o ideologico; una parola per un’idea diffusa. Tuttavia, i processi attivi, quali compaiono nella serie Doing & Undoing, basata sulla ripetizione, e l’elisione di elementi disparati accorpati, resiste a questa lettura strettamente binaria. Piuttosto, questi processi suggeriscono la profusa azione associativa della metonimia. Impossessandosi di un simbolo, de Marchi tira letteralmente e metaforicamente una pluralità di fili, implicando ed attivando dense reti associative. I segni scelti diventano sistemi di trasmissione dai quali varie idee e tangenze emanano e al tempo stesso si aggregano.
Questi gesti decostruiscono simboli ed idee per aprire nuovi spazi alla contemplazione. Attivando sottili alterazioni, de Marchi dimostra il potere intrinseco all’estrapolazione dei simboli dalle loro strutture ordinate ed ignorate. Attraverso procedimenti di decostruzione e ricostruzione, l’artista induce ad osservare la potente potenzialità implicita nell’atto di ritagliare, riadattare e ripetere.